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martedì 19 giugno 2012

Kijiji: utilizzato dalla maggioranza

   Inizialmente credevo che con questo termine ci si poteva riferire solo al sito internet di annunci gratis, di vendita, affitti, acquisti, lavoro del gruppo eBay ma poi interessandomi di un altro argomento ho scoperto casualmente che ...
   In Africa gli abitanti di Nairobi, in lingua swahili, usano la parola - kijiji - (che significa villaggio/insediamento) quando fanno riferimento al luogo in cui vive la popolazione informale.  Gli abitanti di questi insediamenti non si considerano cittadini della città, in quanto sono esclusi dai servizi di base (acqua, elettricità, sistema fognario, servizio sanitario)  che caratterizzano la vita urbana cittadina e di conseguenza si vedono come coloro che vivono fuori dalla città.
   Il dover essere considerati al di fuori della città è ironico o meglio assurdo, poichè Nairobi possiede circa 3,5 milioni di abitanti di cui quasi 2  milioni  nelle baraccopoli che costituiscono la maggioranza della popolazione cittadina (60 per cento). Tale popolazione è raggruppata anche da ampie baraccopoli che possiedono anche picchi di densità urbana stratosferica, come l'insediamento di città diffusa di 90 mila persone per km quadro (come se ad esempio tale popolazione abitasse in una città circoscritta grande come il Battersea Park di Londra, una dimensione simile) oppure un'altro insediamento dove 400 mila abitanti vivono in tre km quadrati (dimensione molto simile al Central Park di Manhattan a New York) ma  in altri post tratterò con più precisione queste ultime due (non) città di città .1.

FONTE:

sabato 16 giugno 2012

A.A.A. cercasi casa

    Uno studio del 2008 ha stimato che nella capitale egiziana, la città de Il Cairo, mezzo milione  di abitazioni erano vuote ... vacanti ... sfitte ... utilizzabili ma inutilizzate (cifra che rappresenta il 17 per cento del casato). Questi alti tassi di abitazioni vuote generano una speculazione edilizia e difficoltà amministrative intorno alla vendita di immobili per il ceto medio, ma  le abbondanti unità abitative vacanti erano presenti anche nelle aree informali generando non solo un degrado urbano alla metropoli ma anche un'ulteriore difficoltà per gli abitanti più poveri. 1.
   Giusto per aver un'idea della cifra egiziana. Roma si aggiudica il primato tra le città italiane con quasi 250 mila di abitazioni vuote, la metà di quella egiziana.  

Fonte:

sabato 2 giugno 2012

Architetture sensuali di desiderio

   Nel passato alla base di un'architettura degna di essere ricordata nel tempo e nella storia c'era senza dubbio un'idea nuova materiale, basti pensare ai colori del Partenone greco o ancora all'interno della piramide di Cheope a Giza ma anche ai "semplici" marciapiedi delle antiche strade pompeiane. 
   Nell'ultimo secolo fino all'epoca attuale alcune grandi architetture, per non dire quasi tutte, le definisco come - architetture sensuali di desiderio- il cui compito principale non è più quello di far scoprire la "novità materiale" a chi osserva, ma di utilizzare una "sensualità" e di conseguenza "far desiderare" ciò che più piace e basta.
   Mi spiego meglio che sò ad esempio... ehm dal genere fantasioso di Frank  Lloyd Wright la Fallingwater, la casa sulla cascata, dove l'abitazione con la cascata seduce chi osserva ancor prima di intravedere il suo interno, oppure in ambiti moderni degli archistar come le opere sinuose di Zaha Hadid dove ogni osservatore non entra a far parte dell'architettura ma bensì deve restare sempre al di fuori della sinuosità di quelle linee e di conseguenza desiderare quell'architettura senza essere attratti da un qualcosa materialmente di "nuovo", o ancora l'emblema più grande Dubai dove gran parte della città è pensata e costruita non per qualche idea nuova da poter riproporre in alri luoghi ma come un'architettura "unica e da desiderare".
   Credo che oggi  le architetture da ricordare, e su cui riflettere, sono quelle architetture nuove che a volte le abbiamo sotto il naso ma che sfuggono al nostro "desiderio", come può essere un gecekondu  turco, un chawl indiano o un semplice slum,  nate dall' esigenza di crescita nelle medie e grandi città e non  dal creare desiderio come il mega hotel a 5 stelle.

venerdì 23 marzo 2012

All'ombra di fiori, piante e film osè

  Non avevo mai notato cosa c'era all'ombra di una zona di verde cittadino, alle spalle di un gazebo di un venditore di piante, fiori e più avanti al di là di una bancarella di videocassette con le copertine invecchiate dei vecchi film osè, quelli della commedia sexy anni '70.
  Così ho spulciato un pò sul web ricercando la zona.
  Napoli, zona mercato tra via Amerigo Vespucci e via della Marinella, di fronte al presidio ospedaliero Loreto Mare e vicino all'Ufficio Immigrazione della Prefettura. Doveva sorgere un'oasi, un "polmone verde" per la città (come li definiscono alcuni ma per me è  verde cittadino sul quale si dovrebbe basare la città anche perchè ci vorrebbero ettari ed ettari di bosco per far "respirare" una città). Comunque il  parco comunale era progettato da Aldo Loris Rossi, il Parco della Marinella. Furono spesi più di 4 milioni di euro (conteggiando anche i danari spesi quando c'era ancora la lira), espropriando il terreno e rendendolo comunale, ma tuttoggi il parco non c'è, cosa c'è?
  Una cittadina informale che ha avuto un aumento di abitanti e abitazioni dall'epoca iervoliniana, raggiungendo con l'attuale era napoletana una popolazione tra i 400 e i 500 abitanti. Le vecchie 50 baracche sono aumentate fino a toccare la cifra di circa 150 abitazioni di lamiera, legno e plastica con eventuali allacci di corrente, con scarse condizioni igieniche e ambientali a causa di topi e cattivo igiene, ma anche a causa della discarica a cielo aperto invasa da ogni genere di rifuto: copertoni, scarti industriali, amianto ...

lunedì 13 febbraio 2012

Paradiso, shopping center e cortiços

La megalopoli San Paolo è forse per alcuni la città del paradiso formata da hotel di lusso, dall'Hilton allo Sheraton, dagli shopping center ai condominios fechados (condomini chiusi e quartieri agiati)  ma la cittadina possiede anche altro di paradisiaco come la favela Paraisòpolis, città appunto del paradiso.
Gran parte della popolazione vive in situazioni variamente informali e talvolta anche illegale rispetto alle norme ambientali, urbanistiche, sanitarie, altrochè al diritto di proprietà. Come se la città legale e quella illegale si fossero sviluppate autonomamente. Come se i piani urbanistici e le normative edilizie riguardassero solo una parte dei cittadini.
Le forme di informalità abitative tra mancanze di infrastrutture e irregolarità fondiaria sono sostanzialmente sei e vanno divisi tra insediamenti informali-precari o informali. Tra gli insediamenti informali-precari paulisti le favelas rappresentano poco più del 10 per cento e sono situate principalmente al sud della città, mentre i  loteamento irregular   rappresentano il 3,65 per cento e sono presenti soprattutto ad est e lungo le fonti, infine i cortiços  rappresentano il 3,61 per cento. Tra gli insediamenti informali i loteamento irregular urbanizado rappresentano il 6,55 per cento degli insediamenti totali e sono presenti soprattutto ad est della megalopoli, mentre  i conjunto habitacional irregular rappresentano l'1,5 per cento e i nùcleo urbanizado rappresentano lo 0,85 per cento e sono presenti lungo le fonti.
Circa un milione di insediamenti informali (il 27,1 per cento del totale) è da considerarsi al di là della forma ma comunque all'interno della quarta megalopoli più grande del mondo, San Paolo (Un-habitat, 2010).

venerdì 3 febbraio 2012

Pucca

Cartoni animati, eh cosa ?! No no tranquilli  non scriverò del cartone animato coreano pucca. Con questo termine non viene chiamato soltanto la serie animata ed infatti  in questo post tratterò di ben altro, restando però sempre nella zona asiatica.

Geograficamente il Pakistan si sviluppa su un territorio vulnerabile ai disastri naturali, quali terremoti, tsunami, piogge monsoniche e alluvioni.
 A livello urbano e sociale si può affermare che gli alloggi cittadini dell'area Indo- Pakistana possono essere suddivisi in tre classi generali:  pukka, semi pukka e katchi 
La maggior parte delle abitazioni pakistane sono insediamenti profondamente precari, infatti la casa pukka o pucca, “Casa Solida”, è sì un alloggio costruito con materiali durevoli come pietra, cemento, calcetruzzo, legno, laterizi e/o metallo ma rappresenta soltanto il 21% degli alloggi totali del paese. L’alloggio katchi o kutcha, “Casa Sgangherata”, è un’abitazione costruita con materiali non durevoli e di facile degrado come paglia, bambù, cannucce, erba secca, fango, teli di plasitca e rappresenta il 39% degli alloggi pachistani. Le abitazioni katchi sono soggette a un facile rischio di collasso perché non hanno un adeguato sistema di drenaggio e anche a causa di tetti gocciolanti durante la pioggia. Mentre gli alloggi semi pukka, "Casa Semi Solida", sono una fusione tra i due e rappresentano il restante 40% degli alloggi totali. 
 Invece nelle aree periferiche i quartieri fatiscenti sono conosciuti con il nome di katchi abadis.

lunedì 23 gennaio 2012

La Gran Bretagna si avvicina al Kenya


   E' uno dei problemi delle città del XXI° secolo, ora che la città si chiami Leonia o Garbage City o Dandora o Napoli o Parigi poco importa.
    La cittadinanza della metropoli di Brierley Hill nel West Midland, in Inghilterra, dall’estate scorsa ha una vista panoramica simile (anche se è un eufemismo) a quella della località di Dandora a Nairobi in Kenya, famosa per la sua enorme discarica a cielo aperto.
    La montagna di rifiuti domestici e industriali inglesi, tipici del nostro consumismo, sono visibili da lontano un miglio, sorpassando attualmente il livello dei quattro piani degli ultra chic appartamenti residenziali. Appartamenti confinati da ampie cancellate e alle cui spalle riecheggia il consumo sfrenetico.
   I cumuli di rifiuti della Hill non possono essere assolutamente paragonati a quelli della cittadina keniota ma rappresentano un fallimento dell’evoluzione occidentale.
   

sabato 21 gennaio 2012

I numeri a volte confondono e non sono mai giusti

Gli insediamenti informali della città di Buenos Aires (la maggior città dell’Argentina e la nona mega-città del mondo) solitamente sono chiamati villa miserias o semplicemente las villas, una sorta di quartieri di città che nascono senza un progetto, senza norme cittadine, nè  igieniche, nè quelle urbanistiche e spesso le zone ricercate sono  accanto ai quartieri più esclusivi e di lusso. Tutto ciò nasce dall’urgenza delle persone di trovare un rifugio temporaneo.
La prima fase della formazione di una villa miseria è il formarsi di un asentamiento, che tradotto significa "assestamento" e infatti è una fase iniziale per la costuzione di un insieme di casupole di pochi metri quadrati con materiale di facile recupero dal legno alla lamiera, generalmente per una o due stanze, dove vivono famiglie molto numerose. Tali asentamiento sorgono dove c’è un po’ di spazio libero, sottopassaggi, cortili di fabbriche in disuso, zone ferroviarie, vecchie discariche illegali. Successivamente all’asentamiento vi è una sorta di lottizzazione domestica con un piano regolatore cittadino dove vengono costruite le strade e le infrastrutture come la mensa, il centro sociale, i negozi e alla fine le casupole.
In molte zone queste baracche si trasformano in case di mattoni, las villas miserias, che a volte mantengono le stesse dimensioni originarie ma mantengono anche la stessa precarietà sia delle abitazioni che del tessuto della città informale, infatti, tra una casa e l’altra molte volte restano ancora vicoli irregolari e al di fuori della formalità.
I tanti quartieri illegali possono essere alti come un palazzo cittadino e di solito distano poco dal centro vero e proprio della città, come l'insediamento di villa 31 che si sviluppa in una zona confinante col porto di Buenos Aires e una delle stazioni ferroviarie situata su terre pubbliche vicino al centro borghese della città.

lunedì 21 novembre 2011

Un pò di terra d'oltremare

In questo breve articolo vorrei scrivere un pò di Egitto, ma non di certo un Egitto fatto di piramidi e faraoni di Giza o di luci e spiagge di Sharm El Sheikh ma de Il Cairo, aashwa'i e di ...

Nel campo urbanistico-architettonico egiziano, ed in particolare de Il Cairo, quasi la metà della superficie totale degli edifici residenziali privati (46,1%) sono stati costruiti e acquistati su terreni agricoli dove non vi erano piani di suddivisione e dove i permessi di costruzione non erano stati dati. Per questi insediamenti informali su ex terreni agricoli non si può parlare di un' ‘invasione sulla città’, in quanto agli inizi degli anni ’60 tali aree erano zone agricole ai magini della città ‘formale’, ma di ‘illegalità’ si, a causa della suddivisione di terreni edificabili senza permesso.
L’altra metà della superficie totale degli edifici residenziali privati (46,1%) sono aree informali su terreno vacante dello Stato. Questa tipologia di edifici nel tempo ha avuto uno sviluppo informale e illegale in quanto privi di permessi di carta legale. In ogni caso i coloni versano un’affitto simbolico (‘tahkir’) al Dipartimento del Governatorato di Amlak o una tassa di proprietà (‘awayyid’).
Un’altra tipologia di edifici informali è situata nella zona della città storica (4%) de Il Cairo, quest'ultima  presente prima delle espansioni del 1860. Qui si trovano le zone più deteriorate e affollate del tessuto urbano medievale come Darb el Ahmar e El Gamalia, ecc. Sono inclusi gli storici ‘borghi’ come Qait Bey e El Tonsa (contrariamente all’esagerazione giornalistica-mediatica, il fenomeno dell'occupazione nelle tombe come ad El’arafa, La città dei morti, è un fenomeno estremamente raro ad Il Cairo).
Una tipologia in minoranza (poco superiore l'1%) de Il Cairo di edifici informali è situata tra le tasche urbane deteriorate della città, in particolare quelle sviluppate intorno agli inizi del XX  secolo. Zone come Masr el Qadima, Hekr Sakakini in El  Wali e Teraael Towfiqia in Mataria.
In fine una curiosità, il termine aashwa’i è l’unico termine utilizzato ufficialmente per indicare delle aree urbanizzate  pianificate illegalmente e costruite in maniera degradata. Le aree aashwa’i non sono necessariamente delle baraccopoli pur essendo aree informali-illegali, con elevati livelli di sovraffollameno, scarsa accessibilità ad infrastrutture e servizi pubblici, mentre il termine baladi è usato soprattutto per descrivere le aree di residenze di abitanti poveri. 1.  
Fonte:
1.  Sims David, Understanding Slums: Case Studies For The Global Report On Human Settlements - Urban Slums Reports: The Case of Cairo, Egypt-, 2003, pp.04-07.

martedì 22 febbraio 2011

Tra Le Corbusier e Khan

Il XX° secolo ha portato alle città dell’India un’esplosione abitativa e infrastrutturale, con progetti di grandi firme come Le Corbusier a Chandigarh o Louis Isidore Khan ad Ahmedabad1., ma da alcuni decenni le città indiane mancano di un’adeguata pianificazione e di investimenti per il suo sviluppo demografico avuto. L’India è infatti il paese dell’Asia meridionale che ha avuto il più grande sviluppo demografico, abitativo  e infrastrutturale anche se molte città sono prive di veri e propri trasporti pubblici con gravi problemi di congestione. La crescita incontrollata delle città ha condotto al formarsi di bassifondi che siedono gomito a gomito con luccicanti blocchi di uffici, appartamenti di lusso e hotel, come il Renaissance Hotel, l’albergo a cinque stelle situato nel centro di Mumbai sulle rive del lago Powai, con appartamenti e suite su due piani, piscine, quattro ristoranti e bar, biblioteche, sale yoga, terme e sale convegni2. che confinano a pochi metri con abitazioni precarie con coperture fatiscenti (figura a lato).
Il paese possiede una popolazione superiore ad un miliardo3. e anche se il 60% della popolazione vive nelle campagne, più di un quarto di un miliardo vive in città con una crescita annua della popolazione urbana del tre per cento. Il numero di persone che vivono negli insediamenti informali delle città è diminuito negli ultimi due decenni, diminuendo dal 61% degli anni ’90 al 34,8% del 2005, anche se tali insediamenti possiedono una crescita annua del due per cento.
In India gli insediamenti informali vengono definiti con diversi termini a seconda della zona e della città dove essi sorgono, ad esempio gli agglomerati informali urbani nello stato centro-occidentale del Maharashtra vengono definiti  zopadpatti o johpadpatti che significa “una striscia di capanne”4.. In città come Calcutta i bassifondi sono in gran parte semplici aree di alloggiamento inferiori ai 30m2, su un solo piano prive di servizi igienici, impianti idrici, luoghi di cottura, finestre e vengono chiamati bustees5., mentre in città come Delhi, Kanpur, Ahmedabad, vengono chiamati katras, ahatas e chawls rispettivamente6.. Anche se il governo nazionale negli ultimi 10 anni ha ridotto la popolazione dei baraccati ed ha annunciato una mappatura degli zopadpatti con un controllo del territorio, con l’aiuto di immagini satellitari per monitorare la crescita di nuove baraccopoli7., oggi le città indiane sono in condizioni peggiori rispetto a quelle cinesi, unico altro paese ad aver sperimentato processi di urbanizzazione di dimensioni simili, infatti i servizi per la popolazione sono scarsi, il 33% della popolazione non possiede servizi igienici, il 21% non ha una superficie abitabile sufficiente mentre il 10% non ha strutture abitative durevoli 8.9..
Le principali città indiane con una grande popolazione informale sono Mumbai (6,5 milioni), New Delhi (1,9 milioni),  Calcutta (1,5 milioni), Chennai (0,8 milioni) e Nagpur (0,7 milioni)10. ma in generale i bassifondi delle città indiane possiedono in totalte circa 200 mila baracche di cui 5.142 su letti di fiumi, 19.670 lungo ruscelli e canali, 11.604 su pendii e colline, 3.584 su terreni destinati a strade, giardini e terreni specifici per un uso pubblico e il restante in aree urbane.11.


Fonte:
1. Curtis William J. R., L’architettura moderna dal 1900, pp.427-521.
2. Dal sito internet: www.marriott.com/hotels/hotel-photos/bombr-renaissance-mumbai-convention-centre-hotel/
3. United Nations, World Popultion Prospects: The 2008 Revisions, Annex Tables, Table A.1. p. 3.
4. Foreman Jonahtan, Mumbai: On the “Slumdog” Trail, in «Stand Point Magazine» di marzo 2009.
5. Dal sito internet: www.gymnasium-spaichingen.de/bili/india/calcutta.html
6. United Nations for Human Settlements Programme (Un-Habitat), Sharpening the global development agenda, The notion of slums, p.10.
7. Autore assente, New building height limits, satellite eye on new slums, in «Indian Express» del 22 aprile 2010.
8. Dati estratti dal sito internet: www.unhabitat.org/stats/
9. Lamont James, India unprepared for urban migration, in «The Financial Times» del 22 aprile 2010.
10. Paliwal Ankur, Slumming it for real estate, in «Down to Earth» del 15 aprile 2010.
11. Khape Ajay, Civic body eyes another slum rehab project, in «Indian Express» del 23 marzo 2010.

domenica 26 dicembre 2010

Informalità

L’architetto e urbanista messicano Castillo Josè, nonchè docente presso l’Universidad Iberoamericana a Città del Messico e docente di design presso The University of Pennsylvania, sostiene che:

Per molte persone, l'informalità è sinonimo di illegalità, e quindi tutto ciò che è informale è automaticamente considerato difettoso. Ma non è così semplice. L’informalità comprende gradi di legalità e illegalità. In alcuni casi, potrebbero esserci violazioni normative, in altri, una mancanza di coinvolgimento professionale, e in altri ancora una mancanza di pianificazione.” 1.

L’informalità non è un fenomeno esclusivo del XX° secolo, e neppure dei paesi sottosviluppati, ciò che è notevole è che l'informalità è diventato il modo dominante della città dal XX° secolo. Il punto più alto di urbanizzazione informale è stato probabilmente durante la fine degli anni ‘60 e i primi anni ‘70, quando ci fu una grande crescita demografica, alte migrazioni, un boom economico e sbagliate politiche abitative urbane.
L’urbanizzazione informale è esattamente l’opposto di quella formale che inizia con un piano urbanistico, poi una delimitazione giuridica di proprietà e infine infrastrutture e servizi necessari per unire l'edificio alla città; l’urbanizzazione informale inizia dalla fine, in primo luogo i coloni costruiscono in maniera informale i loro insediamenti irregolari, poi le infrastrutture e infine si definisce la proprietà.2. Gli insediamenti irregolari sono degli assembramenti più o meno vasti di casupole o baracche costruite per lo più con materiali di recupero, solitamente localizzati alla periferia di grandi agglomerati urbani. Insediamenti di questo tipo si trovano in numerose aree del mondo e le denominazioni locali sono spesso entrate nell’uso per indicare le baraccopoli di una determinata regione geografica, dalle favelas e villas miseria dell’America Latina, agli zopadpatti e bustee dell’Asia, dai baladi e township dell’Africa, alle bidonville e elendsviertel dell’Europa e più in generale agli slum. Esistono ben 50 differenti dizioni per indicare tali insediamenti informali, e comunque non sono da considerarsi sinonimi in quanto ciascuno di essi ha diverse caratteristiche affiancate al luogo d’origine. Le baraccopoli non sono tutte uguali e soprattutto non tutti i suoi abitanti sono poveri come ad esempio i quartieri situati in zone oggetto di interventi di riqualificazione e presso le zone industriali, spesso di piccola scala.

Fonte
1. Furniss Charlie, Keeping it informal: Charlie Furniss visits Chimalhuacan, one of Mexico's more deprived  districts, with architect José Castillo    and hears how informality can help planners create more dynamic urban environments, di aprile  2008.
2. Cfr. Montejano Castillo Milton del 6 maggio 2008, Processes of consolidation and differentiation of informal settlements, capitolo
   1, pp. 2- 40.